di Antonio Fragapane
Ci sono persone che non sai essere esistite, ma che hanno lasciato un patrimonio, a volte immenso, fatto di ricordi, aneddoti, sensazioni ed anche di opere d’arte! E magari i luoghi nei quali tali persone hanno vissuto la loro intensa esistenza possono essere quelli nei quali tutti noi viviamo la vita di ogni giorno, intrecciando legami con le persone che ci circondano. Poi, all’improvviso, ecco apparire l’immagine di un quadro che ti colpisce e ti stimola la curiosità a tal punto da dover necessariamente conoscere la storia che sta dietro quella particolare tela, e non solo. Una di queste persone, fino a poco tempo fa a me sconosciuta e della cui esistenza mi sono appassionato, è Raimondo Rizzo, nato nel 1913 a Santa Elisabetta e meglio conosciuto in paese come ‘u zì Ramunnu varberi. Le peculiarità della sua vicenda umana iniziano con la cattura a Paternò da parte dei soldati americani appena sbarcati nell’isola e con la conseguente deportazione in un campo di prigionia di Algeri. Fu un’esperienza che, come è facile immaginare, per lui rappresentò una svolta, sia personale che artistica. Risalgono al periodo vissuto nel campo di Algeri alcuni notevoli disegni, realizzati a matita e su un taccuino, che ci vengono orgogliosamente mostrati dal figlio Francesco: i soggetti sono prevalentemente nudi di donna e saltano subito agli occhi certi particolari davvero sorprendenti, come le rappresentazioni grafiche dei capelli, dei visi e soprattutto degli occhi delle figure femminili ritratte, talmente realistiche da sembrare vere e proprie foto in bianco e nero. Liberato dal campo di prigionia e rientrato nel paese d’origine, ‘u zì Ramunnu vi aprì una barberia (da lì spiegato il suo soprannome), nella quale, come un tempo avveniva nei piccoli paesi siciliani, svolgeva anche la funzione, nonché la “missione”, di dentista. Testimonianze particolarmente sentite, raccolte di recente, narrano che nella sua bottega un’intera generazione di giovani venne educata al culto del bello e della creatività, dall’arte alla musica, dai pennelli alle chitarre. Il primo periodo artistico di Raimondo Rizzo fu caratterizzato da una palese anticlericalità, frutto più che di personali e profonde convinzioni, di un atteggiamento che gli artisti spesso avevano nei confronti della società che li circondava, spesso bigotta e manierista. Ma tale fase durò poco, sostituita progressivamente da una profonda e molto più attenta conoscenza della Bibbia (si narra che addirittura la conoscesse interamente a memoria!) unita ad un’analisi e ad un’attenzione all’iconografia sacra che, probabilmente, in provincia hanno pochi precedenti. Figure di Cristo, deposizioni, Madonne e i principali Santi furono i soggetti che preferì immortalare nel suo periodo artistico più florido e felice. In alcune opere volle perfino autoritrarsi, ma non per spavalderia o manie di protagonismo, piuttosto per denunciare lo stato della condizione umana: si è, infatti, ritratto nelle fattezze di Giuda in una tela dove l’Iscariota rappresenta la natura traditura dell’uomo. Molti suoi compaesani ricordano che disegnava ovunque e su qualunque superficie, dalle classiche tele, ai fogli di legno compensato, dai coperchi in lamiera ai semplici fogli di carta, utilizzando colori acrilici o ad olio, matita o, all’occorrenza, anche una semplice penna. Ma l’ulteriore caratteristica che fa di questo artista sconosciuto un vero caso che merita attenzione è che Raimondo Rizzo fu anche un eccelso scultore. Le memorie ed i ricordi che sono stati raccolti negli anni riferiscono il particolare della una sua strabiliante abilità, mostrata sin da piccolo, nel plasmare l’argilla che spesso veniva raccolta presso la località sabettese Salina: mentre tutti i suoi amichetti erano intenti spensieratamente a cacciare farfalle o a raccogliere frutti dagli alberi, lui dal niente, come un vero e proprio artista, creava figure a tutto tondo, pupi o oggetti che poi regalava all’istante e che i presenti di allora ricordano essere perfetti nella loro semplicità. Praticava l’arte del pennello e dello scalpello con assoluta disinvoltura, tanto che mostrò sin dall’inizio una conoscenza delle proporzioni matura e di assoluto rilievo. Ancora oggi, infatti, si conservano sue sculture in argilla laccata, in cotto, in gesso o in pietra, tra le quali merita assoluta attenzione un Cristo deposto che stupisce lo “spettatore” che possa avere la fortuna di averla tra le mani. Inoltre, rammentando un lontano episodio che non ha precedenti nella nostra provincia, fu lo stesso Raimondo Rizzo a restaurare mirabilmente la statua di gesso della Madonna Addolorata, dopo che nel 1969 fu quasi distrutta da un colpo di fucile sparatole durante una processione che attraversava il paese di Santa Elisabetta. Ma le particolarità di questa storia non finiscono qui. Come nella migliore tradizione rinascimentale italiana, anche se gli anni di cui si narra sono appartenenti al ‘900, il nostro realizza diverse pitture murali, delle quali, in particolare, si conserva uno splendido affresco di vibrante bellezza, orgogliosamente custodito dalla figlia Maria, che è stato realizzato sul tetto di una grande stanza della casa nella quale lo stesso Rizzo, allora, risiedeva. La fama della particolarità e della bellezza dell’intera opera artistica di Raimondo Rizzo fu apprezzata anche dal maestro Renato Guttuso, il quale, tramite la complicità di conoscenti comuni, venne portato a Santa Elisabetta per permettergli di apprezzare al meglio l’originalità delle tele e la maestria delle sculture di un artista del quale gli avevano ben parlato ma che era sconosciuto ai più: si racconta che il celebre autore de La Vucciria abbia molto apprezzato l’estro e l’abilità del maestro sabettese.
A quasi trent’anni di distanza dalla morte di Raimondo Rizzo, avvenuta il 07 giugno del 1982, appaiono chiaramente auspicabili sia la riscoperta della sua opera che una meritata e doverosa rivalutazione della sua intera produzione artistica pittorica e scultorea, tramite l’organizzazione di mostre, la realizzazione di cataloghi fotografici ed, inoltre, la creazione di una moderna banca dati digitale che possa finalmente, dopo tanto colpevole oblio, conservare e preservare per le generazioni future la memoria artistica ed umana di questo grande artista della nostra terra.
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